Aggressività, violenza, responsabilità

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Disturbi di Personalità / Età Adulta

Aggressività, violenza, responsabilità

“L’amore non dà altro che se stesso e non prende niente se non da sé. L’amore non possiede né vuole essere posseduto, perché l’amore basta all’amore”
(K. Gibran, 1923)

La violazione dei confini nella relazione con l’altro può diventare violenza, può distruggere, può portare a conseguenze tragiche. Approfondisco questo tema che rappresenta un aspetto della violenza a cui assistiamo continuamente e in diverse forme.

Altra faccia della medaglia è la responsabilità, intesa anche come consapevolezza e rispetto della differenza con l’altro e strettamente legata all’aggressività che, stando al significato etimologico del termine (ad-gredere, andare verso), presuppone la capacità di assumersi la responsabilità dei propri bisogni e desideri e delle azioni necessarie per soddisfarli, nel rispetto dei confini dell’altro.

Con-senso e reciprocità nella relazione con l’altro

Mentre il comportamento responsabile si basa sullo sviluppo dell’adattamento creativo, cioè di quel processo di crescita in cui ci si adatta all’ambiente e contemporaneamente si adatta l’ambiente a sé, il comportamento irresponsabile si basa sul delirio individualistico, io cui si ritiene che se qualcosa va bene per sé andrà per forza bene anche per gli altri (M. Pizzimenti, B. Bellini, 2022).

La violenza, dunque, comincia quando si superano i confini dell’altro e, nonostante le sue proteste o l’evidenza che si sta arrecando un danno, si resta all’interno dei suoi confini per soddisfare il proprio bisogno. Qui arriviamo al tema del con-senso, della libertà di dire si, no, di cambiare idea, alla reciprocità nella relazione con l’altro.
“Oggi quello che sta accadendo è che non c’è un’educazione alla reciprocità che non è possesso: se non si fa un lavoro sulla reciprocità, l’unica via d’uscita dopo il rifiuto è la violenza” (Cereghino et al., 2020).

La reciprocità presuppone la conoscenza di sé e dell’altro e la differenziazione tra sé e l’altro, la possibilità di creare uno spazio intermedio tra sé e l’altro, che sia modulatore di una giusta misura tra l’eccessiva distanza e l’eccessiva vicinanza.

Attaccamento e auto-regolazione

Esperienze traumatiche vissute nei primi anni di vita e successivamente ripetute possono essere causa dell’indifferenziazione tra sé e l’altro, della violenta violazione dei confini dell’altro. L’esigenza di un controllo onnipotente dell’altro per paura che questo se ne vada, per prevenire un abbandono, un abbandono già vissuto, “quando si era ancora troppo giovani, troppo impreparati, troppo indifesi, troppo impauriti” (Viorst, J. 1986), può essere espressione della mancata rinuncia dell’altro, di un amore in cui l’altro non è riconosciuto per quello che è ma per quello che, relativamente a bisogni rimasti tali, rappresenta. Kohut, per chiarire il processo che sta alla base dello sviluppo delle capacità auto-regolative, introduce il concetto di “internalizzazione trasmutante” (1968; 1971), ben spiegata da Tolpin (1971) come “accrescimento, pezzo a pezzo, della struttura psichica, attraverso un continuo processo di internalizzazione frazionato da specifiche funzioni materne”. Carenze in questo processo sono state associate, in diversi modi, a delusioni traumatiche (Kohut, 1966,1968,1971), a violazioni o fallimenti nelle risposte del caregiver ai bisogni dell’infante (Winnicott, 1965); al fallimento delle funzioni genitoriali contenitive (Bion, 1962), o ancora a una dissonanza tra i bisogni dell’infante e le risposte del caregiver (Balint, 1968).

“Dall’intimo dare e ricevere del legame di attaccamento, i bambini imparano che le altre persone hanno sentimenti e pensieri che sono sia simili sia differenti dai propri. In altre parole, si sincronizzano con il proprio ambiente e con le persone intorno a loro e sviluppano l’autoconsapevolezza, l’empatia, il controllo degli impulsi e l’auto-motivazione: tutto ciò che rende possibile il divenire membri partecipi di una grande cultura sociale” (Bessel van der Kolk, 2015).
A questo proposito, interessanti sono le parole di Faimberg (2005) “Un’assenza è una presenza che attacca”, in riferimento a vari gradi di mancata risposta e di non sintonizzazione dell’ambiente nelle prime fasi di vita del bambino e a concetti quali mancanza, non-riconoscimento, violazione, negligenza, fino all’abuso psichico, fisico e sessuale. Il trauma psichico dell’assenza diventa qualcosa, una presenza che attacca, che può manifestarsi nella relazione con l’altro, in cui non c’è spazio per il pensiero ed in cui, diversamente da come scrive Gibran, l’amore non basta all’amore. La vulnerabilità viene agita.

La guarigione nella relazione: percorsi di cura

Un aspetto curativo fondamentale con le persone che hanno vissuto un trauma, incluse relazioni d’attaccamento disfunzionali, e’ far sentire le stesse persone al sicuro; la relazione terapeutica può essere curativa nella misura in cui il paziente si sente accolto, sostenuto e rispecchiato nelle sue esperienze di dolore e di disagio.

Come scrive Bessel Van Der Kolk (2015), “Disporre di una buona relazione di supporto costituisce, di per sé, la più potente protezione contro la traumatizzazione…Sicurezza e terrore sono incompatibili….Per guarire, mente, corpo e cervello hanno bisogno  di convincersi che ci si possa quietamente lasciare andare. Ciò accade soltanto quando ci si sente sicuri a un livello viscerale e ci si può permettere di connettere quel senso di sicurezza a un passato di impotenza”.

Questo e’ il filo che unisce i diversi percorsi di cura psicoterapici dove, appunto, sono la cura e l’attenzione gli aspetti centrali in cui si inserisce il racconto che il paziente fa della sua storia. Raccontare, ricollocare nel passato quello che e’ passato, può dare al paziente l’opportunità di ri-decidere per nuovi modi di vivere la vita e la relazione con l’altro.

“Raccontare la storia è importante; senza storia, i ricordi diventano congelati, e senza ricordi è impossibile immaginare che le cose posso essere differenti…Essere traumatizzati non significa solo essere bloccati nel passato; si tratta, più che altro, di non essere pienamente vivi nel presente” ( ibidem).

La terapia EMDR: il doppio focus

Un aspetto interessante della terapia EMDR ( Eye Moviment Desensitization and Reprocessing), utilizzata appunto per l’integrazione e l’elaborazione di ricordi traumatici, legati anche alle forme di accudimento ricevute, è ricordare (coinvolgendo anche emozioni e sensazioni) senza sentirsi sopraffatti e con la possibilità di ricollocare nel passato quello che è passato. Si parla a questo proposito di doppio focus, in cui la Presenza del terapeuta è fondamentale per far sentire il paziente al sicuro nel presente.

A cura della Dott.ssa Sara del Gaudio

Bibliografia

Balint, M, E. (1968), La regressione. Cortina, Milano, 1983

Bessel, V. D. Kolk (2014) , Il corpo accusa il colpo. Raffaello Cortina Editore, 2015

Bion, W. R. (1962), Learning from experience. In A. Green (1998), The Primordial Mind and the Work of the Negative. International Journal of Psycho-Analysis, 79: 649-665

Kohut, H.- Wolf, E. S. (1978), The disorders of the Self and their treatment: on outline. International  Journal of Psycho-Analysis, 59: 413-429

Pizzimenti, M. –Bellini B.,  Sessuologia della Gestalt. Franco Angeli Milano, 2022

Tolpin, M. (1971), On the beginning of a cohesive self: an application of the concept of transmuting internalization to the study of the transitional object and signal anxiety. Psychoanalytic Study of the Child, 26:316-352

Viorst, J. (1986), Distacchi. Edizione Feltrinelli, 1987

Winnicott, D. W. (1965), L’integrazione dell’Io nello sviluppo del bambino. In Sviluppo affettivo e ambiente, Armando Editore, Roma, 1974, pp. 231-248